Le donne ladakhi  hanno occhi profondi e un sorriso meraviglioso, cucinano con allegria complici dell’alchimia che sta per accadere. Questo è quanto ho scoperto nella splendida città di Alchi in Ladakh, a 3500 metri sopra il mare e a pochi passi dal cielo.

Nella via principale di questa deliziosa perla hilamayana, che unisce i negozi di antiquariato agli splendidi Monasteri antichi, Nilza ha aperto il suo ristorante a chilometro 0.

Imprenditrice e chef, questa piccola donna piena di energia offre un menù tradizionale nel suo “Alchi Kitchen”: luogo magico, in cui trovare ristoro se vieni da giorni di trekking, o ancor più semplicemente in cui bere una tazza del suo delizioso tè. I degustatori più audaci, invece, potranno assaggiare il Chhang, la birra di farro fatta in casa, una rarità a cui non molti turisti hanno accesso.

Entro con il capogruppo a prenotare la cena e Nilza, la magnetica proprietaria, ci illustra la possibilità di partecipare, nel pomeriggio, a una lezione di cucina al prezzo di 1000 rupie o poco più. Adoro viaggiare ed esplorare le cucine più esotiche, assaggio davvero tutto: come potrei non approfittare dell’occasione di poter fare una cooking class in questo meraviglioso posto disperso nel mondo e portare a casa un po’ di cucina tradizionale himalayana? Dire che ero emozionata è riduttivo!

Più tardi, per l’occasione mi sono staccata per alcune ore dal gruppo: ho avuto l’onore di preparare insieme a questo splendido staff di donne, parte della cena che avrebbero mangiato i miei compagni di viaggio.

È bene che io vi dica che la cucina tipica del Ladhak è estremamente influenzata dalla cultura buddista: principalmente è una cucina vegetariana, a base di verdure, legumi e tofu. Non è comunque difficile trovare piatti a base di carne di montone, vista la minore presenza mussulmana. Ricordo che la guida che avevo ricevuto da Avventure nel Mondo la definiva “una cucina frugale”, invece l’ho trovata estremamente curata nonostante gli ingredienti semplici e talvolta ripetitivi.

Il menù della mia lezione prevedeva la preparazione di due paste fatte a mano servite con brodo e verdure: Paktthuk, Chutagi e il pane(Tagi) Khambir.

Per queste leccornie, la pasta integrale di grano duro viene modellata con forme caratteristiche, che raccolgono i sapori intensi di brodo, verdure e del sempre presente coriandolo.

Durante la mia lezione con Nilza, c’è già fermento in cucina, e le ragazze del suo staff si muovono con velocità e ritmo, creando tra le mani forme perfette davanti ai miei occhi incantati.

Terminata la preparazione del primo piatto mi offro per aiutare a preparare la cena per il gruppo.

Probabilmente è una novità per loro che un turista si metta a “lavorare” dopo la lezione, eppure a me sembra il modo più naturale per conoscere un po’ di più queste donne fiere e meravigliose. Mi insegnano un’altra forma in cui modellare la pasta, che ricorda vagamente le nostre orecchiette pugliesi: abbiamo chiacchierato, lavorando, dei nostri due mondi culinari, con dovizia di aneddoti e particolari.

È un incanto la cura che in questo ristorante viene proposta ad ogni piatto, che viene preparato al momento, rispettando la tradizione e utilizzando il raccolto dei contadini locali. Nizza è uno chef conosciuto ed apprezzato, amante delle suo splendido paese, che ha sognato e realizzato il suo progetto imprenditoriale.

I profumi iniziano ora a esplodere in mezzo ai vapori del brodo: è una cucina viva, semplice ma tanto animata, ben organizzata e a vista.

Nel locale ci sono intarsi tipici tibetani e due balconi per mangiare all’aperto: il più piccolo è per due  o poco più, una meravigliosa cornice con sguardo sulla valle dei templi. Due turisti inglesi sorseggiano il loro black tea lentamente. Del resto il tempo, come il cibo, va goduto.

Direi che Alchi Kitchen fosse il primo ristorante puramente Ladahko nel nostro tragitto.

Spesso i ristoranti offrono una scelta di piatti indiani e cinesi, per rendere il menù più vario ai palati in visita.

Ad esempio è importante non confondere il pane locale Khambir con il Naan: il primo lievitato, viene cotto sulla fiamma viva, così che possa gonfiarsi e creare una tasca da farcire con maionese fatta in casa e verdura grattugiata o altre varianti, il secondo viene cotto in un forno di terra con una maestria a me misteriosa.

Immancabili in tutto il Ladak i Momo, deliziosi fagottini di pasta di riso (simili ai ravioli al vapore dei “nostri” ristoranti cinesi) farciti con verdure, patate o carne di montone.

Chiara Allegra Tracquilio per SaporOsare

Tagi Khambir

Istruzioni

  1. Impastate la farina con acqua e lievito madre, create una bella palla compatta e schiacciatela leggermente creando un disco di circa una spanna.

    Scaldatelo su una padella di pietra (ollare o testo andranno benissimo)

  2. Quando inizia ad essere dorato, aiutandovi con una pinza mettetelo sulla fiamma viva, il Khambir si gonfierà creando un area vuota.

    Spennellatelo all’esterno con del burro e tagliatelo in due.

    Spennellate internamente la tasca che si è creata con della maionese fatta in casa.

  3. Nel frattempo avrete preparato una tritura di verdure e uova.

    Carote, mais, rapa e altre verdure a piacere, volendo uova e un pò di caciotta a dadini molto piccoli.

    Con questo composto tritato finemente andrete a farcire le due tasche, creando uno dei piatti unici ladahki più ghiotti.


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