Nel giugno 1368, Galeazzo II Visconti, facendo sposare la figlia Violante a Lionello di Anversa – figlio di Edoardo II d’Inghilterra – coronava il suo sogno di alleanze con le potenti teste coronate di mezza Europa tramite una accorta politica di matrimoni, in grado di proiettare la sua ricca famiglia nell’orbita del vero potere politico internazionale. Già infatti era riuscito a piazzare, con un colpo da maestro, il primogenito Gian Galeazzo, legandolo ai francesi Valois della casa regnante e destinandolo alla carriera che poi lo porterà a diventare Duca di Milano; restava la figlia più giovane da sistemare, e come da lunga tradizione pervenuta sino a noi era il padre della sposa a dover pagare tutte le spese.
Spese che, oltre a una dote di 200.000 fiorini d’oro per Violante, dovevano comprendere anche il benvenuto e pernotto degno di tanto status per il rampollo regale, i suoi nobili accompagnatori, i 2000 cavalieri da cui si era fatto scortare, per i nobili e notabili invitati e tutto il di loro seguito. Ma l’evento cui Galeazzo II si affidava per fare mostra con sfarzo del proprio potere era in realtà il tanto atteso banchetto di nozze: una mostruosità di sedici portate delle quali circa la metà accompagnate da doni degni di un re, tra cavalli da guerra, falchi addestrati, cani da caccia, gioielli, opere d’arte e tessuti preziosi.
Il menù del giorno – 50 piatti, in oro, per ogni portata, per un totale di 800 – tramandatoci dalla Storia di Milano di Bernardino Corio, fu il seguente, nel dettaglio:
“Prima portata: vengano serviti porcelli dorati e vengano presentate 12 coppie di segugi con collari dorati e corde di seta.
Seconda portata: vengano serviti lepri dorate e lucci dorati.
Terza portata: un grande vitello dorato con trote dorate e vengano presentati sei cani alani con collari di velluto.
Quarta portata: quaglie e pernici dorate.
Quinta portata: anatre dorate e aironi dorati con carpe dorate e vengano presentati dodici falchi pellegrini con cappucci di velluto con perle.
Sesta portata: carni di bue e grassi capponi con agliata e con storioni in acqua.
Settima portata: capponi e carni con sugo di limone (lomonìa) e tinche con sugo di limone e vengano presentate dodici armature complete da giostra.
Ottava portata: pasticci di carni bovine con formaggio e pasticci di anguille grosse.
Nona portata: gelatina di carni e gelatina di pesce e siano presentate dodici pezze di drappi dorati e dodici di drappi di seta.
Decima portata: capretti e paperi arrosto, pesci di lago arrostiti.
Undicesima portata: lepri e caprioli in civiero (umido di cipolle, carne e vino).
Dodicesima portata: carni di cervo, di bue e di pesce fatti in pasta lievitata e siano presentati sei piccoli destrieri, belli, con briglie dorate e con cappucci di velluto verde e con pendagli di seta.
Tredicesima portata: capponi e pollastri con mele e vengano presentati sei destrieri piccoli, belli, con briglie dorate e con cappucci di velluto verde con pendagli di seta.
Quattordicesima portata: arrosto di conigli, pavoni, cigni e anguille arrostite e siano presentati un bel bacile di argento con un fermaglio, un rubino, un diamante, una perla con quattro belle cinture di argento dorato.
Quindicesima portata: siano serviti numerosi formaggi.
Sedicesima portata: si diano le frutta e siano presentati settantasei cavalli locali ai baroni e ai soldati.”
Per frutta, ciliegie, tanto per non appesantire i commensali, visto che per i dettami medici dell’epoca si consideravano sane e prive di rischi.
Nel leggere che le portate sono dorate, non si dovrà intendere un qualche genere di frittura ma proprio la copertura delle stesse con una lamina d’oro, a scopo, di nuovo, di esibizione di ricchezza, non esente però dalla speranza che il prezioso metallo conferisse ai cibi le virtù solari – purezza, forza, e così via – tramite il colore di cui era dotato; stesso dicasi per le stoviglie, e le sia pur rare posate, che ancora le forchette erano malviste perché (notate il controsenso) si riteneva che il metallo avrebbe alterato il sapore dei cibi. Difatti, quando arrivarono furono spesso in argento, praticamente dal punto di vista chimico una garanzia di quello che temevano.
Adesso, non dobbiamo pensare che i commensali si mangiassero proprio tutto tutto, eh. Gli avanzi della tavola, assieme a molte stoviglie e dorature e fregi, sicuramente finirono nelle tasche dei servitori e del popolino convenuto, che da questi eventi traeva una notevole fonte di profitto; e quando parliamo di avanzi, ce n’era per sfamare intere famiglie per settimane. Anche così, e anche considerando che il potere calorico dei cibi era molto inferiore a quello attuale, difficilmente possiamo pensare che qualcuno riuscisse ad alzarsi da tavola ancora con la fame.
Ma siccome in molti atti è già compresa la punizione degli stessi, Lionello, che già di suo era un notevole buongustaio, avendo fatta in tale modo esperienza della cucina italiana non seppe trattenersi e invece di tornare subito a casa allungò il percorso in un tour gastronomico che, per i suoi eccessi, lo stroncò a soli 3 mesi dalla data di quel felice matrimonio. Costringendo Galeazzo a dover cercare di maritare la povera Violante altrove, con scarsa fortuna, tanto che la poveretta finì dopo altre due vedovanze col morire ancora giovane e sola in convento nel 1386 e il sogno europeista dei Visconti andò a rotoli.
(history food di Carlo Vanni)