Chissà perché come esseri umani, siamo sempre più onesti e spontanei con qualcuno che conosciamo poco.
Il mio nuovo compagno di viaggio, non è esattamente conosciuto, ma nemmeno qualcuno mai visto prima. Una presenza nei pochi anni di adolescenza vissuti nella mia attuale cittadina.
Tra sconosciuti e sconosciuti, alcuni hanno un sorriso di accoglienza.
Motivo per cui, è bello rimanere un po’ sconosciuti.

KURHAUS – Merano

Parcheggiamo all’ingresso est della città, le case sono alte e si vede poco del paesaggio. Ma si sente che l’aria è diversa, più frizzante e leggera. Abbiamo il passo lungo. Il mio compagno di viaggio ha un modo di osservare qualsiasi cosa, interrogativo e rassicurante allo stesso tempo.
“Ho sempre confidato nella bontà degli sconosciuti” diceva Huma in un film di Almodovar.
Eppure rimango sempre incredula nel rendermi conto di quanto poco le persone amino staccarsi dalla sagoma disegnata sulla loro poltrona.
Avventurarsi, scoprire una persona o un paese, un modo di dire in una lingua diversa dalla tua o il sorriso di un benvenuto, cosa c’è di più bello?

L’uomo sul tappeto rosso verifica i nostri pass, sorridendoci.

La Kurhaus è bellissima, come la ricordavo.

È molto che non vengo qui.

L’enorme scala d’ingresso porta a una sorta di piazza in cui immagino qualche secolo fa aleggiare la musica di pregiati archi viennesi.

Ci accalchiamo per avere i nostri due bicchieri. Riesco a farmi piccola e a scivolare tra un paio di signori eleganti e recuperarne due da assaggio.
Il mio straniero mi osserva poco più lontano, facendo cenno con la testa verso le scale, che vanno al piano superiore. Nei soppalchi laterali non c’è molta gente, l’ideale per preparare la bocca alla beva.

Sotto di noi la vista è incredibile e la situazione diversa: un fiume brulicante di gente che si svincola da un produttore all’altro, calici che tintinnano, parole che si perdono e si accavallano nel coro di una folla esperta e sofisticata. Sembra che danzino nel salone da ballo della kurhaus.

Lo straniero si avvicina al primo banco, allungando il calice e indicando una bottiglia di Pinot Grigio Collio Doc della cantina Zuani. “Ci siamo già conosciuti?” chiede la donna. “Come sta Roberto?- risponde con gentilezza – a Shangai, si ci siamo visti lì”. La donna si apre in un sorriso ampio e gioviale, iniziando a chiacchierare con un vecchio amico. Bello, eh? Questa scena la vedo e rivedo ogni due tre tavoli. Mi piace, sono e mi sento in ottime mani.

Annusa, sorseggia, muove leggermente le labbra e si avvicina alla sputacchiera.
Lo guardo stizzita al pensiero di separarmi dal mio bottino adorato, ma abbiamo ancora tante regioni da attraversare: sconsigliato deglutire. Del resto sono passate da poco le dieci, l’orario ideale per degustare.

Osservo, annuso e continuo a osservare. La mia curiosità e una certa attitudine personale mi portano spesso a perdermi nello studio delle relazioni tra le persone (ma dall’esterno giuro che sembro solo imbambolata, mimetizzo bene).

Non è difficile capire chi hai davanti, la sua affidabilità e la veridicità sue competenze.

La stima si vede negli occhi delle persone che interagiscono, molto chiaramente.

Ormai siamo dall’altro lato del soppalco: la degustazione procede velocemente e a colpo sicuro. Sento un sorriso gagliardo stampato in faccia, l’ho battezzato “effetto parco giochi”.
In una decina di bicchieri si scenda dal Veneto alla collina Toscana: azienda Due Mani.
Mi attira la grafica allegra e colorata dell’etichetta e la comunicazione ben curata, rarità nel settore, che spesso cede il passo a una comunicazione più classica. La mia è pura deformazione professionale, che ci volete fare…

Il mio amico mi guarda sorridendo, ho scelto bene. L’azienda è davvero interessante, coltiva vitigni di Cabernet Franc, Syrah e Merlot in biodinamica Demeter.
Assaggiamo insieme Altrovino e DueMani, nettari deliziosi e bottiglie che spero di avere presto nella mia cantina. Vivere il vino accanto ai suoi produttori è una magia. La storia della cantina entra a far parte del bouquet aromatico, ogni papilla è pregna di un sottile sapore inebrian…

“Allegra, c’è ancora vino al piano di sotto.” Il mio compare interrompe ridendo i miei voli mentali pindarici. Torno alla realtà leggermente imbarazzata dalla mia meditazione, che mi ha lasciata indietro, dispersa tra aromi morbidi e avvolgenti.
Ma è ora di affrontare l’orda, si va nella Kursaal, la sala grande.

L’affascinante salone liberty si affaccia da un lato sulla Passeggiata Lungo Passirio, dall’altro sul centro storico della città. I banchi dei produttori sono divisi in file parallele, come in lunghe tavole apparecchiate, si beve in compagnia di cantine, tra la calca di gente, il brusio delle narrazioni e i meravigliosi sapori.
Qui tutto è concentrato e veloce: poche chiacchiere, tanti assaggi.
“Voglio farti sentire un ottimo Brunello, così come deve essere, poi ne sentirai un moderno.”
“Questo è stato fatto con 15 uvaggi differenti.”

“Vedi questi signori stati tra i produttori più importanti della zona del Barolo, li chiamano Barolo Boys!”
Miliardi di informazioni per i miei recettori e diverse per la mia fame di informazioni.

Inizio a rendermi conto che questo mondo è infinito.

Anche se non deglutiti, i primi 30 calici iniziano a richiedere un sostegno solido. Ma la mia guida sa tenermi al passo con fare sicuro. Si vede che è il suo ambiente da molto molto tempo.

Le etichette presenti al Merano Wine Festival sono una selezione di eccellenza, che si apre ad un pubblico attento e interessato. L’evento è una rara realtà di pregio e grande organizzazione, merita un approfondimento anche negli eventi esterni al salone. La kermesse ci ha coinvolti e colpiti nel profondo: sebbene il tempo da dedicare sia limitato, decidiamo di completare il giro, per poi andare a pranzo.

Alcuni vini tra tanti spiccano e si fissano nella memoria, per citarne velocemente alcuni: Furore Riserva di Marisa Cuomo; Kairos e Harlequin, il suo fratello maggiore, della cantina Zymé che contengono “solo” 15 tipi di uve (arganega, Trebbiano toscano, Sauvignon Blanc, Chardonnay, Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot, Syraz, Teroldego, Croatina, Oseleta, Sangiovese, Marzemino.); uno chardonnay dal nome impronunciabile e un’etichetta klimtiana, l’Alizèe di Theresa Eecher, un pezzo di Tirolo coltivato sull’Etna e gli indimenticabili Franchetti, Tenuta di Trinoro e Maramia Sangiovese in purezza biodinamico.

In realtà i vini da citare sarebbero moltissimi, ma di questi consiglio di prendere nota per approfondire il vostro viaggio sensoriale.

Il nostro percorso, finalmente, continua su sapori altoatesini di gustosi canederli allo speck e con le rape rosse dello storico ristorante Forst. Ci sediamo affamati e tutto sommato non eccessivamente stanchi. Gli occhi sono soddisfatti da esperienze e nuovi compagni di viaggio.
“Quanti vini abbiamo assaggiato, secondo te?”

Lo straniero da una veloce occhiata alle foto delle etichette testate.

“Ne conto 64.”
“E te li ricordi tutti?”
“Sì, per buona parte.”
Mi accorgo che anche io ne ho buona memoria, pur avendone degustati una decina di meno. Ma lì per lì dubito che il mio ricordo possa essere a lungo termine per tutti e 54.

È stata una vera e propria esplorazione di gusto tra le regioni di tutta Italia, la giornata è volata e mi perdo ancora una volta nei miei pensieri. La curiosità e una discreta libertà dalle quotidiane abitudini mi hanno portato ancora una volta a incontrare una persona meravigliosa e tante altre che spero di rivedere ancora nel mio percorso enologico, produttori che dedicando cura ed attenzione mettendo tutta la loro passio…

“Allegra, vuoi il dolce?”
Ecco, l’ho rifatto.

Chiara Allegra Tracquilio per SaporOsare


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